L'impossibilità dell'Ateismo (prima parte)
[Questa è la
prima parte di una ricerca che sto conducendo ormai da tempo, e verte, in
particolar modo, sulla mia personale esperienza e i ridotti studi scolastici;
nella seconda parte cercherò di approfondire l'argomento con il supporto di
ulteriori e più approfondite conoscenze]
"Ateismo"
Ci ho pensato
molto al titolo di questo articolo, dubitando sul poter prendere in prestito il
termine ateismo, e poterlo
usare in un'accezione che si distacca dalla religiosa. E' quindi doveroso
sottolineare come, con l'uso di questo vocabolo, non ridurrò l'analisi all'assenza
di Dio, in cui per Dio intendiamo l'essere supremo venerato da diverse
religioni; bensì, intendo utilizzare il termine in una dimensione più ampia:
quella sociale, traducendolo nell'assenza di Certezza. La Certezza, quindi, assume una
connotazione assoluta e personificata.
La Certezza
Al termine
dell'ultima interrogazione di Filosofia dell'anno, la professoressa ha chiesto
a me e le mie compagne l'aspetto che più ci ha interessato del programma (dall'Umanesimo
a Hegel). Dopo varie discussioni, arrivato il mio turno, ho risposto il campo della ricerca della Certezza: per Cartesio il dubbio, per gli
empiristi la realtà empirica, per Rousseau la natura, per Kant la morale, per
Hegel lo Spirito. Nei vari filosofi affrontati, l'aspetto più interessante che
ho potuto connotare è stato, senza dubbio, come ognuno di questi s'impegnasse
nel ricercare una certezza,
un qualcosa di assoluto e di supremo, che potesse condurli nelle loro
dottrine.
Mi sono chiesta
se fosse possibile sciogliere questo aspetto dalla ricerca filosofica e
applicarla in ambito sociale; e il responso è stato positivo.
Per millenni, o
al meno da quando ne abbiamo fonti, l’uomo ha avuto una sua guida, una sua
Certezza, che da molti è stata interpretata con la figura di Dio: l’umano è
sempre stato la conseguenza dell’Essere Supremo. La necessità nell’avere un
punto di riferimento durante la vita quotidiana, cui affidare i propri
sentimenti e le proprie preghiere, è come se fosse una terapia per la psiche
umana: il non sentirsi mai abbandonato, neanche nei momenti più bui. Durante i
secoli, però, questo aspetto ha lasciato la dimensione privata e personale,
migrando verso l’aspetto sociale, prima religioso e poi politico.
La religione, in
una definizione elementare, nasce dall’unione di più coscienze, le quali hanno
in comune uno stesso punto di riferimento
(per i Greci e i Romani erano gli dèi, per i Cristiani Dio). Soprattutto
durante l’epoca romana la vita religiosa si trasferisce sul piano sociale e
politico: con Augusto, la religio,
diventa il modo di unire un popolo diviso dalle guerre civili; durante il
medioevo, invece, il papato diventa una vera e propria istituzione politica ed
economica, che comincia ad avere una valenza anche in campo bellico. Con la
fine del XX° secolo e l’avvento del terzo millennio il mondo occidentale
comincia a laicizzarsi. L’iter della figura assoluta è quindi molto complesso e
seppur non avendo una valenza empirica è riuscito ad insediarsi nei gradi più
complessi della società, diventando un cicerone nella storia.
Com’è possibile,
dunque, che ad oggi qualcuno si definisca ateo? È davvero pensabile non avere
una Certezza? Nella società contemporanea che il sociologo Bauman definì
“liquida” è necessario avere delle costanti, un qualcosa a cui aggrapparsi
mentre il mondo scorre veloce.
In particolar
modo nel mondo occidentale, la Certezza, l’Assoluto ha quasi perso del tutto la
sua valenza sociale e politica, rimanendo vivo sul piano personale. Questa
importanza nella vita privata dell’individuo lo guida nella sua missione di
cittadino: “agisco in questo modo in virtù di Dio”, “agisco così in virtù della
scienza” e così via. Ogni essere umano ha qualcosa in cui credere e che guida
le sue azioni, ha bisogno di aver una Certezza per poter fare riferimento ad
altri oltre che a se stesso. Questo bisogno di solidarietà è del tutto innato
nell’uomo, per quanto mi è stato possibile osservare: nessuno sa mai,
esattamente, la vera ragione per cui crede, come se lo facesse in modo talmente
spontaneo da non rendersene conto.
Sarebbe
necessario ricostruire la strada di questo tema, le diverse forme che ha
assunto durante la storia, ma questo lo approfondiremo in seguito. C’è, però,
un qualcosa di universale che possiamo porre alla base di questa
considerazione: l’uomo, per natura, è codardo;
o, per meglio dire, in una posizione inferiore rispetto alla Solitudine.
L’essere umano non è programmato per stare al mondo senza i suoi simili o senza
altri animali: siamo animali della
ragione. Superando le questioni produttive e politiche e concentrandosi sul
singolo individuo, possiamo vedere come l’uomo non è mai veramente in
solitudine, neanche quando crede di esserlo; c’è sempre qualcosa che lo
accompagna, che sono lui conosce nel profondo: dal proprio Pensiero a Dio. Ed è
proprio nel momento di maggior crisi, di maggior dolore che l’individuo riesce
a riconoscere la sua Certezza, poiché sarà l’unica cosa a cui saprà di poter affidarsi; paradossalmente, è nel
momento di maggior abbandono che la persona si rende conto di non essere sola.
L’uomo è portato
a confidare in qualcosa, che può essere diverso dal giudizio dei più oppure
eguale; questa Certezza, è la parte più profonda dell’uomo, lo rappresenta in
toto a se stesso e alla società, perciò non può venir giudicata da chi ne
possiede un diversa o da chi la ritiene inesatta o inesistente.
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