E quindi cosa vuoi essere da grande?
Sono le 17:25, che vi parla è una diciassettenne nel pieno dei suoi studi. Tra compiti, fogli volanti e orientamenti universitari, ogni tanto mi ricordo un domanda che mi è stata posta fin dalla tenera età: cosa vuoi fare da grande? "La veterinaria, o la matematica" quando rispondi con un qualcosa riguardante animali e scienza vai sempre sul sicuro, e per un altro paio di anni nessuno ti chiederà più niente.
Crescendo la cosa si complica considerevolmente... alla scuola media volevo diventare Psicologa, per cui ho scelto la scuola di conseguenza, capendo, al terzo anno, di aver fatto un salto nel vuoto a quattordici anni.
Gli anni sono passati, la quarta liceo è nel pieno del suo sviluppo, e quella domanda torna, di nuovo, ad abitare i miei incubi: e quindi cosa vuoi fare da grande? è interessante notare come il verbo "fare" non venga mai sostituito dall' "essere"; interessante, ma anche molto inquietante. Pensando a quel grande, la mia mente dovrebbe venir occupata dall'immagine di un futuro futile e tragico, per dirla senza mezzi termini; ed, invece, quando penso a questa età, condizione, categoria culturale (G. Bonetta), penso sempre ad un'Era della mia vita in cui coronerò la mia vita con ciò che voglio fare, e a cui non vedo l'ora di giungere: è così strano? Se analizziamo - sotto ogni punto di vista - quel "fare" possiamo notare quanto la materializzazione e cosificazione del futuro e dell'impiego con un adolescente andrà a ricoprire da grande, siano onnipresenti della società di massa che oggi imperversa nelle nostre vite, e quanto la predizione settecentesca di Rousseau si stia avverando: nell'ordine sociale - ci dice il filosofo ginevrino - il bambino viene educato a fare una professione, in quello naturale a essere cittadino, uomo. Il rischio della visione strumentalizzata del futuro risiede, innanzi tutto, in una sintesi tra uomo e la società stessa, che porterà a un legame indissolubile e deleterio per entrambe le parti: l'uomo viene spersonalizzato, diventando parte integrante della sua società per ciò che fa, e non per ciò che è; grande fonte di dibattito dovrebbe essere, anche, la visione quasi paradisiaca e utopica del cittadino rispetto all'individuo, e la ormai dimentica definizione della loro perfetta sintesi: l'uomo. La realtà che ci viene presentata rispetto al nostro futuro è, nella sua totalità, impersonale e ambigua, quasi come se riguardasse un mondo lontano da noi, invece che un'epoca in cui passeremo il resto della nostra vita.
La ricerca dell'identità personale avviene, come ben sappiamo, per tutto l'arco della vita, in ogni cosa e in ogni evento; la persona ha un bisogno innato di doversi affermare come se stessa nel mondo circostante, sia per ciò che è sia per ciò che fa, nella sua totalità. I servizi educativi, la società, la cultura di oggi tendono ad estremizzare, nella persona, la caratteristica, peculiarità, parte, che possa portare beneficio all'ordine sociale, dimenticandosi di tutto ciò che è.
Dalle parole di una mera adolescente può non trasparire niente, da una dilettante della vita, ed è giusto, del resto anche Arthur Rimbaud diceva "No, a diciassette anni non si può essere seri"; come in ogni scritto, non ho la pretesa di docere ma di attivare il pensiero, istigare una coscienza del mondo circostante e avere dei riscontri. Quando vi chiederanno "cosa vuoi fare", voi correggeteli sempre, e dite ciò che viene dalla vostra parte più profonda e veritiera, rispondete ciò che volete essere.
Questo pomeriggio avrei dovuto anticiparmi nello studio della storia, ma, d'altro canto, voglio fare la storica, per una volta può saltare.
- Michela Berti, 15/02/2019
Crescendo la cosa si complica considerevolmente... alla scuola media volevo diventare Psicologa, per cui ho scelto la scuola di conseguenza, capendo, al terzo anno, di aver fatto un salto nel vuoto a quattordici anni.
Gli anni sono passati, la quarta liceo è nel pieno del suo sviluppo, e quella domanda torna, di nuovo, ad abitare i miei incubi: e quindi cosa vuoi fare da grande? è interessante notare come il verbo "fare" non venga mai sostituito dall' "essere"; interessante, ma anche molto inquietante. Pensando a quel grande, la mia mente dovrebbe venir occupata dall'immagine di un futuro futile e tragico, per dirla senza mezzi termini; ed, invece, quando penso a questa età, condizione, categoria culturale (G. Bonetta), penso sempre ad un'Era della mia vita in cui coronerò la mia vita con ciò che voglio fare, e a cui non vedo l'ora di giungere: è così strano? Se analizziamo - sotto ogni punto di vista - quel "fare" possiamo notare quanto la materializzazione e cosificazione del futuro e dell'impiego con un adolescente andrà a ricoprire da grande, siano onnipresenti della società di massa che oggi imperversa nelle nostre vite, e quanto la predizione settecentesca di Rousseau si stia avverando: nell'ordine sociale - ci dice il filosofo ginevrino - il bambino viene educato a fare una professione, in quello naturale a essere cittadino, uomo. Il rischio della visione strumentalizzata del futuro risiede, innanzi tutto, in una sintesi tra uomo e la società stessa, che porterà a un legame indissolubile e deleterio per entrambe le parti: l'uomo viene spersonalizzato, diventando parte integrante della sua società per ciò che fa, e non per ciò che è; grande fonte di dibattito dovrebbe essere, anche, la visione quasi paradisiaca e utopica del cittadino rispetto all'individuo, e la ormai dimentica definizione della loro perfetta sintesi: l'uomo. La realtà che ci viene presentata rispetto al nostro futuro è, nella sua totalità, impersonale e ambigua, quasi come se riguardasse un mondo lontano da noi, invece che un'epoca in cui passeremo il resto della nostra vita.
La ricerca dell'identità personale avviene, come ben sappiamo, per tutto l'arco della vita, in ogni cosa e in ogni evento; la persona ha un bisogno innato di doversi affermare come se stessa nel mondo circostante, sia per ciò che è sia per ciò che fa, nella sua totalità. I servizi educativi, la società, la cultura di oggi tendono ad estremizzare, nella persona, la caratteristica, peculiarità, parte, che possa portare beneficio all'ordine sociale, dimenticandosi di tutto ciò che è.
Dalle parole di una mera adolescente può non trasparire niente, da una dilettante della vita, ed è giusto, del resto anche Arthur Rimbaud diceva "No, a diciassette anni non si può essere seri"; come in ogni scritto, non ho la pretesa di docere ma di attivare il pensiero, istigare una coscienza del mondo circostante e avere dei riscontri. Quando vi chiederanno "cosa vuoi fare", voi correggeteli sempre, e dite ciò che viene dalla vostra parte più profonda e veritiera, rispondete ciò che volete essere.
Questo pomeriggio avrei dovuto anticiparmi nello studio della storia, ma, d'altro canto, voglio fare la storica, per una volta può saltare.
- Michela Berti, 15/02/2019
Commenti
Posta un commento