Perdita di se stessi e il mito dello Specchio

Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; [...]  - Uno, nessuno, centomila Luigi Pirandello 


Senza dubbio, nella trattazione di questo tema, Pirandello è il letterato più adeguato per condurci in un problema di ordine sociale e psicologico: la perdita di se stessi. Come premessa voglio sottolineare che non sono laureata in Psicologia o Sociologia, ciò che scrivo può essere giusto quanto inesatto; le mie parole non hanno valore assoluto ma di riflessione, e l'ultimo mio intendo è quello di cadere in un dogmatismo involontario. 

Il contributo della società contemporanea 
Il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman definì la società contemporanea come liquida: una società priva di certezze e di capisaldi cui fare riferimento. È un'affermazione straordinariamente innovativa ma anche paradossale, se riflettiamo e osserviamo la realtà attorno a noi: la società di oggi è estremamente pragmatica, quella occidentale, e di certo le sue radici culturali, religiose ed etiche non lasciano pensare diversamente (siamo i beneficiari della filosofia greca, il diritto romano e la morale cristiana). Arrivando al punto, vediamo come ad oggi siano richieste delle certezza nella vita e come noi stessi le ricerchiamo al di fuori della nostra persona - link di un precedente articolo:https://laleggerezzadiessere.blogspot.com/2019/06/limpossibilita-dellateismo-prima-parte.html -: trovare un lavoro stabile, avere una famiglia, avere una belle cerchia di amici, avere qualsiasi cosa che possa aiutarci a non traballare e che costituisca una sicurezza. In una società accelerata, veloce, priva di punti di riferimento, ciò che cerchiamo è stabilità sociale e psichica; in questo caso, la prima dovrebbe essere l'effetto della seconda e non la causa, come ad oggi effettivamente è. 

La perdizione in un mare sociale 
La nostra psiche è forse lo spettacolo più bello e articolato che ogni giorno mettiamo in scena: una varietà estrema di processi psichici - alcuni non del tutto chiari - che lavorano dietro le quinte per presentare uno spettacolo allo società, noi stessi. La nostra persona è la messa in scena della nostra mente, ma il fatto peculiare ed in interessante è proprio che, ogni rappresentazione, muta nel tempo: riceviamo dei feedback dalla società (ciò che è giusto, ciò che piace, come comportarsi), come delle recensioni di un vero e proprio spettacolo, che vanno a cambiare lo spettacolo successivo. Ma il nostro teatro psichico somiglia molto di più al teatro goldoniano che a quello elisabettiano: il copione che ognuno di noi ha, è il complesso sistema di riferimenti che la società e la cultura di provenienza ci tramandano.  Di fatto, nel momento in cui andiamo a sostenere l'ipotesi che la nostra persona si forma in realzione all'aspetto sociale e relazionale della nostra vita, quel sistema culturale diventa la base per una nuova lista contenente le nostre caratteristiche.
La nostra persona si concretizza nella realtà sociale; noi ci identifichiamo in ciò che gli altri vedono di noi e in noi - Vitangelo Moscarda, Gegé, non è più ciò che credeva di essere, poiché gli altri lo hanno sempre visto in un modo in cui lui non si è mai riconosciuto: per se stesso egli era un Moscarda con il naso dritto, mentre per gli altri è un Moscarda con il naso pendente verso sinistra. L'individuo si fonde totalmente all'interno di questo sistema sociale complesso, alienando la sua interiorità e divenendo dipendente e soggetto passivo delle vicende storiche della sua comunità. Noi siamo la società, succubi delle sue dinamiche: è il tu che ci fa diventare io.

Le conseguenze
Le conseguenze, come è facile intuire, sono disastrose: in questo caso quel narcisismo terapeutico scompare totalmente, il soggetto non riesce più ad identificarsi con un oggetto (la società e l'altro) diverso dal sé; Narciso non vede se stesso nello specchio, ma la società: «Iste societas est», scriverebbe Ovidio. Narciso muore, di una morte altruistica o anomica. La stabilità identitaria dell'uomo è completamente rilegata alla stabilità sociale, sapendo che il suo percorso segue una traiettoria simile a quella delle montagne russe, l'uomo segue queste cadute e queste ricrescite. L'individuo perde se stesse nel momento in cui vi è una crisi sociale, che dovrebbe essere da lui separata ma che, come abbiamo analizzato, è la sua identità.
Questa identità eterogenea, divisa tra Io e società, è profondamente contradditoria in se stessa: l'individuo si sente inabile nel momento in cui non si ritrova in ciò che gli altri si aspettano da lui. Delle istanze intrisiche premono per uscire, ma vengono bloccate dall'assetto sociale: così l'uomo si perde. La perdita di se stessi è una conseguenza dell'omologazione individuo-società: «Je est un autre», scrive Rimbaud; e lo smarrimento dell'io è lo smarrimento dell'autre. Siamo dei fantasmi senza volto che vagano in città affollate.

Il mito dello Specchio 
Lo specchio diviene allora uno strumento inutile, un oggetto simbolo della vanitas umana. Lo specchio sono i nostri occhi: il nostro riflesso è il prodotto della società, che noi osserviamo con le nostre luci. La gnosi dell'oggetto si blocca ad una conteplatio fisica, poiché impossibile una conoscenza del soggetto da associare con l'oggetto è pressocché impossibile, nel caso in cui la fusione sia ormai giunta al termine.
Quell'oggetto divenuto la dimensione dell'ailleurs, non è altro che un'analisi ravvicinata delle conseguenze che la società ha sull'individuo, del momento in cui essa trasforma l'individuo nell'uomo, o meglio, nel soggetto sociale.

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